Il racconto vincitore del XIV Concorso Letterario Nazionale

LUNA DI CIOCCOLATO

di Maria Natalia Iiriti

Che Caterina sarebbe diventata sua moglie, nessuno, nel palazzo, nel quartiere e persino nella città in cui abitavano lo avrebbe messo in dubbio, nemmeno un minuto. I matrimoni sono scritti in cielo e lo sapevano tutti che quell’incontro di persone sarebbe diventato, prima o poi, un incontro di anime, come già alle cinque di mattina, si sapeva in anticipo il tempo che avrebbe fatto nella giornata. Che il suo e quello di Caterina sarebbe stato il matrimonio dell’anno, tutta l’isola ne era a conoscenza. Che l’unica cosa che sapesse di Caterina era che lei, andasse pazza per il cioccolato, era una cosa che solo Luigi sapeva. Solo il cioccolato, il cibo degli déi, addormentato nella scatoletta di latta, riusciva a strapparle un sorriso. Luigi, il suo promesso, andava a Modica, nella tarda mattinata, l’ora degli uomini senza ambasce e senza pensieri, entrava nella rinomata pasticceria di Francesco Bonajuto per recuperare la moneta di scambio dei sorrisi della sua futura moglie. Ma, per il resto, Luigi, il suo promesso sposo, l’uomo col quale avrebbe dovuto condividere tutto e finché morte non li avesse separati, non sapeva niente altro di lei. Caterina, per parte sua, afferrava con mani ansiose il regalo e, dopo aver sorriso a Luigi, se ne stava con le mani in grembo in astuta adorazione del pacchettino. Non aveva mai aperto un solo pacchetto in sua presenza e non aveva mai assaggiato quella squisitezza davanti a lui. Caterina, lieve come le nuvole e leggera come le rondini in volo nel cielo di maggio, aveva le idee molto chiare. E su questa questione della cioccolata aveva la certezza che niente sarebbe stato più come prima fra di loro. Luigi, vedendola mordere il tronchetto della tenerezza e della felicità che il resto del mondo chiamava cioccolata, non l’avrebbe più sposata. Ne era certa, come era certo che si chiamasse Caterina e che era figlia di sua madre e di suo padre.  E come era certo che l’unico interesse che provasse per Luigi passava attraverso il desiderio di possedere tanta cioccolata. Non appena si concludevano le visite del suo promesso sposo passate a guardarsi e a sorridere, rispondendo sì oppure no alle domande di Luigi, Caterina affondava le dita nella carta argentata, la sollevava con voluttà, lisciava la superficie della tavoletta marrone e la avvicinava piano alle narici. Così le veniva in mente il bosco e l’odore della povere da sparo del fucile del nonno. Se la passava sulle guance la tavoletta di cioccolato, prima su una e poi sull’altra. E solo così, quando il cioccolato si sfarinava al contatto con la sua pelle tiepida , solo allora Caterina se lo passava sulle labbra, come il belletto che il madre non le dava il permesso di passarsi sulla bocca. E se lo guastava in questo modo, il cioccolato, Caterina, lentamente, passando la lingua sulle labbra e accontentando il palato a piccole dosi. Se Luigi l’avesse vista… Se Luigi l’avesse vista così… Se Luigi l’avesse vista così, con le guance abbronzate dal cacao e le labbra dipinte di marrone… Se Luigi l’avesse vista così…. addio matrimonio. E addio cioccolata! Caterina chiedeva solo questo a Luigi: che, dopo il matrimonio, lui continuasse a portarle quella delizia abbrustolita che sapeva di sole e la faceva pensare al bosco e all’odore di polvere da sparo. Così, illanguidita dalla dolcezza, Caterina andava a dormire su quattro cuscini, come diceva donna Cata, la cameriera tutto fare, orfana allevata dalla famiglia che, per uno scherzo del destino e solo per l’anagrafe, si chiamava come la signorina.  Se Luigi l’avesse vista così… scuramente si sarebbe innamorato sul serio di quella ragazza, all’apparenza taciturna e insicura, che solo la vista del cioccolato aiutava a sorridere. Alle sue lettere Caterina non aveva risposto mai e Luigi si chiedeva se fosse pigrizia o timidezza.  Quindi, tanto valeva puntare sui regali al cioccolato, anche perché la cioccolateria Bonajuto aveva una commessa carina e spiritosa che sapeva fare dei pacchetti deliziosi.  E cominciò tutto così, fra un cuore di  cioccolato e un nastrino abbinato alla carta da regalo. Finché un giorno Luigi aspettò la commessa dopo la chiusura del negozio. Se Caterina l’avesse visto così… Se Caterina l’avesse visto così galante, in compagnia di un’altra ragazza che per di più lavorava in una cioccolateria… Caterina avrebbe voluto essere al suo posto di commessa, nel paradiso terrestre delle sue voluttà, molto più lì che al suo posto al braccio del fidanzato. Luigi non pensò a questa eventualità e, del resto, nessuno l’avrebbe mai venuto a sapere. Gli incontri con la commessa si fecero più frequenti. Del resto la scusa era ottima: Caterina andava matta per il cioccolato di Modica e, in particolare, quello della pasticceria Bonajuto.  Due piccioni con una fava, una via e due servizi: accontentare Caterina e vedere Giuseppina. E questa ottimizzazione delle risorse, se non coincidevano nell’etica, coincideva nel destino delle probabilità. E Luigi che aveva un animo poetico, cominciò a mandare anche a Giuseppina delle lettere, lettere d’amore e di sospiri, lettere sincere e bugiarde allo stesso tempo. Lettere vere, lettere di carta. Che Giuseppina leggeva nel retrobottega dove persino il pulviscolo era fatto di polvere di cacao e provvedeva subito alla risposta, lasciando sul foglio e sulla busta che gli porgeva quando Luigi si recava in negozio per assolvere al suo compito di fidanzato devoto, un sensuale aroma di cioccolato.  Che l’amore avesse  tempi molto brevi lo sapevano alla perfezione le famiglie di Luigi e Caterina, che s’incontrarono in un pomeriggio di maggio e fissarono le nozze degli innamorati. Luigi alla notizia, non si scompose più di tanto, mostrando maturità e cinismo in ugual dose. La novità dell’imminente matrimonio non lo distolse dalle sue usuali occupazioni. Come faceva sempre scrisse a Caterina e scrisse a Giuseppina. Due lettere uguali per due ragazze così diverse e ignare l’una dell’esistenza dell’altra eppure, in qualche modo unite nel destino dal cioccolato, che di una era la passione e il capriccio e dell’altra la missione e il lavoro. L’amore, però, non va d’accordo con la fretta. “Cara Giuseppina” lesse Caterina mentre si passava un quadretto di cioccolato sulle labbra, impallidendo, nonostante il maquillage al nettare degli déi. “Cara Caterina” lesse Giuseppina, andando subito alla firma in fondo al foglio perfettamente ripiegato, come la riga dei calzoni di Luigi. Se Luigi le avesse viste così, una con gli occhi sorridenti e l’altra con gli occhi pieni di lacrime…. Se Luigi le avesse viste così le avrebbe sposate tutte e due. Ma, dopo quella leggerezza che si era materializzata con due pezzi di carta perfettamente identici e due buste che portavano impressa il gusto della sua acqua di colonia, nessuna delle due ragazze, né Caterina né Giuseppina, avrebbero mai voluto sposarlo. Passò il tempo e Luigi aveva solo un modo per farsi perdonare da Caterina: inviargli tanto cioccolato. Ma per fare questo avrebbe dovuto recarsi alla cioccolateria Bonajuto, e incontrare Giuseppina. No, non era cosa. Luigi aveva un cuore d’asino e uno di leone. Se Giuseppina l’avesse rivisto lui non se la sarebbe cavata con un’occhiata di sdegno. Dopo varie pensate decise allora di farsi accompagnare dal suo amico Martino. Entrando nella pasticceria i suoi occhi si diressero dritti dove Luigi non sperava di trovare la commessa. Qualcuno esaudì il suo desiderio perché Giuseppina non era là. Non era nemmeno altrove nella cioccolateria di Francesco Bonaiuto. Luigi tirò un respiro di sollievo dentro al suo elegante completo da passeggio. Scelse le scatolette di cioccolato, si accontentò di pacchettini discreti, senza infamia e senza lode, orfani del gusto di Giuseppina, pagò, uscì, lasciandosi alle spalle l’acuto aroma del cioccolato e una scia di rimorso misto a rimpianto. Forse non l’avrebbe rivista mai più. E Luigi era consapevole che questo  era il prezzo da pagare per mettere la sua vita sulla retta via, al riparo da scossoni emotivi. Tra due ragazze ne aveva scelta una. Aveva vinto Caterina e il premio in palio non era Luigi, bensì il cioccolato. Già il cioccolato, questo pezzo di tizzone scolorito a cui nessuno riusciva a esprimere un giudizio tiepido. E se fosse tutta colpa o tutto merito del cioccolato? L’amore per Caterina, il matrimonio all’orizzonte, la breve liason con Giuseppina? A proposito … e Giuseppina? Come aveva preso il tradimento di un uomo, che veniva preferito a tronchetti di cioccolato che lei stessa confezionava con le proprie mani? Giuseppina non serviva più i clienti e non perché avesse timore di incontrare Luigi. Quell’uomo inutile le aveva fornito un’occasione unica, come su uno di quei vassoietti che lei preparava con cura e gusto. Giuseppina adesso  lavorava in laboratorio. Lo aveva chiesto proprio lei al proprietario Francesco Bonajuto che ci aveva pensato su qualche giorno e poi aveva detto sì, che si poteva fare. Dopo qualche settimana di lavoro in laboratorio Giuseppina si era di nuovo recata a parlare con il proprietario. Gli  aveva detto che voleva sperimentare una nuova linea di cioccolato, al peperoncino calabrese. Il signor Bonajuto aveva accettato. Giuseppina aveva allora posto una sola condizione a quel contratto bizzarro: il nome della linea avrebbe dovuto sceglierlo lei. Si strinsero la mano. “Mascalzone” disse Giuseppina. Il signor Bonajuto ritrasse gli occhi nelle orbite e la mano da quella di Giuseppina. “E’ il nome che ho scelto per la nuova linea di cioccolato” spiegò la ragazza con un sorriso e rivolgendo un pensiero distratto di sincera gratitudine al vero mascalzone della vicenda. Fervevano i preparativi per il matrimonio. Luigi e Caterina erano impazienti per diversi motivi: il primo si preparava alla luna di miele, la seconda si preparava  alla luna di cioccolato. E lei si era fatta promettere che la prima tappa dal viaggio di nozze sarebbe stata proprio Modica e la rinomata cioccolateria di Francesco Bonajuto. E’ noto che, in un triangolo amoroso, qualcuno ci rimette sempre. E un appassionato di statistica in questo caso specifico direbbe che, se non si può essere felici in tre, almeno si è felici in due. Ma ogni regola ha le sue eccezioni perché ciascuno dei protagonisti di questo breve racconto, ricevette la sua quota di felicità, alimentando un cerchio magico di piacevoli sorprese. Luigi ebbe la sua Caterina, Caterina il suo cioccolato e Giuseppina il suo lavoro in laboratorio dove, combinando passione, devozione e fantasia, creava tronchetti della felicità per gli sposi novelli Luigi e Caterina che ogni settimana si recavano a Modica, nella cioccolateria di Francesco Bonajuto, paradiso di delizia e passione.